Selinunte Sicilia - Guida Turistica

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Acropoli Il parco archeologico di Selinunte
I ruderi della città si trovano sul territorio del comune di Castelvetrano, nella parte meridionale della provincia di Trapani. Tutto il terreno interessato forma oggi un parco archeologico della dimensione di ca. 40 ettari. Le sculture trovate neglii scavi di Selinunte si trovano soprattutto nel Museo Nazionale Archeologico di Palermo. Fa eccezione l'opera più famosa, l'Efebo di Selinunte, che è oggi esposto al Museo Comunale di Castelvetrano.
 I resti di Selinunte sono divisibili in tre aree principali, l'Acropoli, la collina orientale, e il santuario della Malophoros.
 La collina su cui sorge dovette essere spianata dai coloni megaresi per permettere la costruzione dei primi edifici: di questa prima fase restano pochi ma sicuri elementi. In un secondo tempo, tra la fine del VI e l'inizio del V secolo a. C, la collina venne allargata con terrapieni, per cui fu necessario costruire l'angolo sud-est che si nota all'ingresso attuale delle rovine. Delle porte che dovevano immettere nell'acropoli resta la Porta Nord, alla fine della lunga strada nord-sud che scorre all'incirca al centro dell'acropoli stessa. Su di essa si costruirono vari templi, oltre a numerosi edifici pubblici o connessi con il culto.
 Iniziando da nord, il Tempio D, costruito intorno alla metà del VI secolo a. C. A poca distanza sorge il Tempio C, il più arcaico dei templi dell'acropoli di cui si ha sicura conoscenza: fu costruito nella prima metà del VI secolo a. C; due altari erano connessi col tempio: uno a sud-est e l'altro a est; sulla fronte era decorato con metope scolpite, tre delle quali sono conservate nel Museo archeologico regionale di Palermo; i due frontoni erano decorati con una testa di Medusa in terracotta dipinta di grandi proporzioni. Nel 1925-26, quattordici colonne del lato nord sono state sollevate e ricostruite insieme con parte dell'architrave.
 Segue il piccolo Tempio B, di epoca ellenistica (IV secolo a. C), forse dedicato ad Empedocle, il filosofo-scienziato agrigentino che avrebbe diretto a Selinunte le opere di drenaggio delle acque. Intorno a questo tempietto sono i resti delle più antiche costruzioni sacre di Selinunte. All'estremità meridionale dell'acropoli, altri due templi, A ed O, vicinissimi l'uno all'altro e molti simili fra loro: sono databili agli inizi del V secolo a. C; in epoca medievale furono unificati ed utilizzati come fortezza. Un altare è stato posto davanti al Tempio A.
Collina orientale
 Qui sorgevano altri tre templi: E, F, G. Quest'ultimo è uno dei più grandi dell'antichità classica: misura infatti 110,36 per 50,10 metri; le colonne del peristilio sono alte 16,27 metri ed hanno un diametro di 3,41 metri. La costruzione non fu mai completata, pur essendo stata iniziata molto tempo prima delle altre; forse si arrestò al momento della fine della città. Il materiale di costruzione venne preso dalle Cave di Cusa, site a circa nove km da Selinunte, in direzione nord-ovest. A sud è il Tempio F, edificato intorno alla metà del VI secolo a. C. Era decorato con metope, due delle quali, dimezzate, sono conservate nel Museo archeologico regionale di Palermo. Segue il Tempio E, la cui costruzione, risalente alla fine della prima metà del V secolo a. C, segna il massimo apogeo dello stile dorico, quello che viene normalmente definito "dorico canonico": era dedicato a Hera. Il fregio del pronao era decorato con metope, cinque delle quali si trovano nel Museo di Palermo. Alla fine degli anni '50 questo tempio è stato ricostruito. Questi sono i templi finora conosciuti; sull'acropoli, però, era certamente un altro tempio, non ancora individuato, forse il primo costruito dai coloni megaresi, al quale appartengono le sei metope arcaiche databili agli inizi del VI secolo a. C, conservate nel Museo di Palermo. L'identificazione delle divinità cui erano dedicati i templi resta un mistero, tranne per il Tempio E, che, per un'iscrizione trovata sul posto, sappiamo essere stato dedicato a Hera.
Collina orientale  Città antica - Quella che fu la città abitata sin dalla fondazione venne distrutta dai Cartaginesi; i Selinuntini rimasti andarono a risiedere sull'acropoli. Scavi recenti e tuttora in corso hanno messo in luce parte della cinta muraria, di cui non si aveva conoscenza, e una porta.
La Collina della Gaggera
 Dopo la visita alla porta nord ed uno sguardo al colle di Manuzza, oggi desolato, ma sede principale dell'abitato greco (in origine la grande platéia nord-sud dell'acropoli proseguiva anche oltre l'istmo, raccordandosi ad angolo con la scacchiera dell'abitato di Manuzza), si ritorni sui propri passi, riattraversando le strade dell'acropoli e, mediante una trasversale est-ovest, si pieghi verso Ponente fino alle linea di fortificazioni del lato occidentale dell'acropoli, assai meno conservate di quelle sul versante orientale. Di qui si discenda nella valle del Modione, per risalire sulla collina della Gaggera, che si estende in senso nord-sud, parallela all'acropoli e alla città. Questa lunga altura extraurbana, come la corrispondente collina orientale, fa idealmente parte del complesso urbano, non solo perché costeggiante quello che originariamente era forse il più importante dei due porti fluviali di Selinunte, ma soprattutto perché, col prestigioso santuario della Malophòros e il cosiddetto tempio M, completava l'insieme cittadino. L'importanza del complesso portuale, rilevata da recenti esplorazioni, è sottolineata appunto dal fatto che i coloni v'impiantarono il santuario di Demetra Malophoros (insieme al culto di Persefone, col chiaro intento di reduplicare in questo luogo il santuario non meno celebre (Pausania, I 44, 3) del porto di Megara, Nisa (così come dettero l'appellativo di Minoa alla loro sottofondazione di Eraclea, verosimilmente in memoria dell'isoletta di Minoa, posta davanti al porto di Nisa). Documento archeologico di ciò sono le ancora antiche (ritenute normalmente àrgoi lithoi - ossia "pietre non lavorate", spesso dedicate nei templi, soprattutto di Apollo) ancor oggi visibili, miste alle normali stele e ad altari, alle spalle del santuario di Zeus Meilìchios, adiacente alla Malophòros. Un ricordo epigrafico è, forse, anche in un'epigrafe di dedica alla Malophòros, dove si ricorda il dono di un oggetto "trovato nel mare" (SEG, XII 411).
 Varcato il ponticello che sorpassa il magro corso del Modione, l'antico Sélino, si giunge al santuario della Malophòros, posto sul declivio della sabbiosa collina, in vista dell'antico porto fluviale. Recinge tutto il vasto spazio sacro (circa m 60 x 50) un alto muro di témenos con la caratteristica terminazione superiore sagomata. L'andamento del muro è piuttosto singolare: in alto, a sud-ovest, è vistosamente irregolare rispetto agli altri lati, che seguono le linee di quota, e tale irregolarità è ribadita dalla presenza di un apparente allargamento verso sud-est del témenos, di forma trapezoidale allungata. Il motivo di tale irregolarità e dell'allargamento è generalmente attribuito alla necessità di trattenere le spinte del terreno sabbioso (fatto questo chiaramente riscontrabile nel rafforzamento del muro nella parte più a monte). Non può tuttavia non colpire la circostanza che l'andamento di questa parte irregolare è abbastanza rigorosamente parallelo all'orientamento del mégaron, sede della divinità, posto appunto nella parte più alta del recinto, così come è significativo il coincidere del mutamento d'orientamento col punto d'uscita del canale di pietra che reca all'interno del témenos l'acqua di una copiosa sorgente zampillante ancor oggi a poca distanza a nord del santuario. Anche in questo caso lo studio moderno delle fasi del santuario è tutto da fare e dobbiamo fermarci alla constatazione appena formulata, ipotizzando vari momenti nella delimitazione dell'area sacra, non tutti riconducibili a pure e semplici esigenze statiche.
 Connotazioni infere ha anche il piccolo santuario di Zeus Meilìchios ("Zeus dolce come il miele"), un culto della somma divinità infernale assai diffuso nelle colonie greche d'Occidente assieme a quello di una paredros, anch'essa Meilìchia, identificata ora con Hera ora con Afrodite, ma di stretta connessione con la propagazione della religione di Eleusi (non a caso un "antico altare" di Zeus Meilìchios era sulla via sacra da Atene ad Eleusi, oltre il Cefiso e di fronte ad un santuario di Demetra e Kore, già casa dell'eroe Fitalo, responsabile dell'introduzione della coltivazione del fico: Pausania, I 37, 2-4).
 La storia di questo piccolo témenos di Meilìchios (un quadrato di m 17 di lato incorporato - sembra - in un allargamento seriore del recinto della Malophòros verso nord-ovest) è oltremodo complessa. Il recinto presenta un colonnato con colonne di tipo diverso, provenienti da un rimaneggiamento ellenistico di un porticato precedente; verso il fondo del recinto è il piccolo sacello prostilo del dio (m 5,22 x 3,02), a quanto pare dorico con colonne monolitiche ed epistilio ionico senza gocce, ossia con quella mescolanza di stili del tempietto B dell'acropoli. Il culto, fondato in epoca greca, prosperò anche durante la dominazione fenicia, cui risalgono molti degli ex-voto tipici di questo santuario (piccole stele coronatela una doppia protome, maschile e femminile, raffiguranti la coppia divina). Che il culto sia proseguito in epoca punica è reso certo dallo stile del tempietto, ma l'attribuzione tout-court di tutte le stele alla fase punica può essere revocata in dubbio dal fatto che almeno una reca un'iscrizione greca, anche se è possibile - anzi probabile - che nella Selinunte punica fosse presente un'aliquota, forse nemmeno trascurabile, d'individui ellenefoni. È bene ricordare al riguardo che è solo dei moderni la distinzione radicale fra le due aree culturali, fenicio-punica e greca, di fatto profondamente intrecciate da moltissimi secoli nel Mar Mediterraneo grazie ai comuni (e ovviamente conflittuali) interessi emporici, e che l'attenzione della classe dominante punica per la cultura greca, capace di rappresentare meglio di quella nazionale (almeno dal tardo V secolo a. C.) i propri nuovi interessi per l'espansione territoriale e per la produzione agricola, è stata certamente grandissima, soprattutto nell'eparchia siciliana. Va ricordato ancora che, in quest'insieme di culti ctoni ed inferi (con le relative implicazioni nella sfera riproduttiva ed agraria, ma i cui ex-voto evocano anche la presenza del vicino porto ed una delle funzioni, collegate con lo scambio, dell'area sacra), è stato rinvenuto, nei pressi dell'ingresso del recinto, un rilievo con una scena di ratto, probabilmente quello di Kore da parte di Ades, tema centrale del mito celebrato nelle feste di quest'importantissimo santuario extraurbano selinuntino.